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IL RACCONTO DELLA FUGA DI MIO PADRE DALLA DEPORTAZIONE NAZI-FASCISTA.
Trovandomi sfollato nel periodo bellico nel comune di Camaiore (Fondi di Pedona) venni catturato il 16 agosto del 1944 da militi tedeschi, che avevano circondato, a mano armata, la piazza XXIX Maggio di Camaiore.
Incolonnato, con altri rastrellati, fui condotto in un primo tempo in località Montramito (comune di Massarosa), ove pernottammo in un fabbricato e quindi a Lucca, il 17 successivo. Ivi giunto, venni chiuso nella Pia Casa di Beneficenza, che serviva quale centro di raccolta dei rastrellati.
Dopo sette giorni venni prelevato, con vari altri, per essere trasferito. La destinazione era a tutti ignota. Fu nel corso di tale trasferimento che riuscii ad attuare un tentativo di fuga, mercé l'aiuto di alcune generose persone, che si avvicinarono e che, approfittando di un momento di distrazione della pattuglia tedesca, favorirono la mia evasione, facilitata anche dall'oscurità della sera.
Mi nascosi durante la notte, in una capanna della campagna circostante, fino al mattino seguente. Riuscii poi a raggiungere per strade e mulattiere, la località di Stiava (Comune di Massarosa), e di lì proseguire per Camaiore, ove giunsi verso la fine dell'agosto del 1944.
Trovandomi sfollato nel periodo bellico nel comune di Camaiore (Fondi di Pedona) venni catturato il 16 agosto del 1944 da militi tedeschi, che avevano circondato, a mano armata, la piazza XXIX Maggio di Camaiore.
Incolonnato, con altri rastrellati, fui condotto in un primo tempo in località Montramito (comune di Massarosa), ove pernottammo in un fabbricato e quindi a Lucca, il 17 successivo. Ivi giunto, venni chiuso nella Pia Casa di Beneficenza, che serviva quale centro di raccolta dei rastrellati.
Dopo sette giorni venni prelevato, con vari altri, per essere trasferito. La destinazione era a tutti ignota. Fu nel corso di tale trasferimento che riuscii ad attuare un tentativo di fuga, mercé l'aiuto di alcune generose persone, che si avvicinarono e che, approfittando di un momento di distrazione della pattuglia tedesca, favorirono la mia evasione, facilitata anche dall'oscurità della sera.
Mi nascosi durante la notte, in una capanna della campagna circostante, fino al mattino seguente. Riuscii poi a raggiungere per strade e mulattiere, la località di Stiava (Comune di Massarosa), e di lì proseguire per Camaiore, ove giunsi verso la fine dell'agosto del 1944.
La prima edizione. Vi aspettiamo!
Una noiosa domenica pomeriggio di luglio a Viareggio.
Un noiosissimo pomeriggio di una domenica di luglio. Annoiato decido di andare a fare un bagno agli scogli del molo di Viareggio, proprio dove inizi la spiaggia della marina di Ponente. L’acqua non è male, pure pulita e calda rispetto al fuori dove spira un fresco vento di maestrale, o maestralone come lo chiamerebbero i bagnini dotti.
Faccio il bagno tranquillamente e poi mi siedo su uno scoglio ad asciugarmi. Ma dato che sono solo e mi rompo abbastanza e alloro guardo curiosando un po’ in giro. Mi accorgo che a poche decine di metri ci sono 7 o 8 ragazzi neri accompagnati da due bianchi, due signori distinti. Sono giovani, di un’età dove da noi i ragazzi ancora sono maturi solo per fare i coglioni bevendo la solita birra e parlando alla solita maniera del nulla e poi aspettando che siano sempre mamma e papà a risolvergli i problemi. Ovviamente anche per me, più meno che più, fu così, s’intende. Mentre invece questi ragazzi hanno attraversato deserti e mari, sfidato la morte e gli scafisti, la fame e la sete per arrivare qua a cercare fortuna e vita. Ma torniamo a oggi. Bene, guardo con più attenzione. E vedo questi 7 o 8 marcantoni che iniziano ad essere avvicinati da alcune ragazzine bianche, forse indigene forse no ma non è rilevante. Iniziano tutti a ridere e scherzare. Lentamente si avvicinano anche due o tre ragazzi di lingua araba. Si vede che sono un po’ più scafati dei neri del Centrafrica ma la comitiva continua a stare bene insieme. Distolgo l’attenzione e vedo, guardando con occhi più attenti, che la piccola spiaggetta del molo e gli scogli che lì si vanno a insabbiare sono pieni di persone non italiane. E le riconosci ma non per le stupidate razziste lombrosiane tanto in voga oggi ma perché ognuna di quelle persone ha un suo modo particolare di parlare, di vestire, di ridere…insomma un caleidoscopio multiculturale impensabile pochi anni fa. Una bella conquista, se solo l’Italia non fosse popolate da idioti, non tutti ma una grande maggioranza. Intanto l’allegra brigata italo-africana-araba prosegue a divertirsi e ti accorgi che sono proprio uguali a come eravamo noi alla loro età: stesse pulsioni, stessi atteggiamenti, stessa ingenuità…solo che loro hanno attraversato deserti e mari per non morire in guerra o di fame. E allora penso che non sono proprio uguali a noi. No, non lo sono. Sono meglio, molto meglio di noi ex giovanotti.
Mi stavo iniziando davvero a divertirmi pensando a tanti, purtroppo troppi, razzisti indigeni che si sfiniscono a masturbarsi perché incapaci di trovarsi una donna, anche brutta ma una donna, e che se la pigliano con loro, i migranti, per sfogare la loro impotenza culturale e non solo. E mi divertivo a pensare anche a quelle sfigatelle razziste in gonna e tatuaggio tribale sul braccio che la devono dare ad altri sfigati razzisti, di sesso maschile, e si perdono tutto quel possibile ben di dio.
Risalgo gli scogli, pensando che se anche dio non esiste ogni tanto un po’ di giustizia divinamente laica esiste. Faccio due passi sul molo con un ritrovato buon umore. Passeggio lentamente intanto che il sole delle sei di pomeriggio termina di asciugarmi. A metà molo mi passano di fianco due donne, due giovani mamme con tanto di pargoletti nella carrozzina. Sono giovani ma non ragazzine, saranno sui 35-40 anni e le sento argomentare delle spalle e dei bicipiti di due di quei ragazzoni neri di poco prima che adesso se ne stanno seduti sul bordo degli scogli ad asciugarsi. Queste due mamme argomentavano con dovizia di particolari la descrizione dei giovanotti subsahariani. Potenza degli ormoni in circolo, mi dico.
E la cosa mi ha ancor più divertito perché ho capito che, per fortuna la nostra italianità se ne andrà a farsi fottere molto presto insieme ai nostri razzismi, luoghi comuni, ipocrisie…tutto spazzato via da questi marcantoni in attesa che arrivino anche le loro donne che saranno sicuramente, amazzoni dalla pelle avorio che riflessa nelle onde del nostro piccolo e glorioso mare diverrà come un potente afrodisiaco per questi poveri italiani che tutto sono meno che “brava gente”.
Un noiosissimo pomeriggio di una domenica di luglio. Annoiato decido di andare a fare un bagno agli scogli del molo di Viareggio, proprio dove inizi la spiaggia della marina di Ponente. L’acqua non è male, pure pulita e calda rispetto al fuori dove spira un fresco vento di maestrale, o maestralone come lo chiamerebbero i bagnini dotti.
Faccio il bagno tranquillamente e poi mi siedo su uno scoglio ad asciugarmi. Ma dato che sono solo e mi rompo abbastanza e alloro guardo curiosando un po’ in giro. Mi accorgo che a poche decine di metri ci sono 7 o 8 ragazzi neri accompagnati da due bianchi, due signori distinti. Sono giovani, di un’età dove da noi i ragazzi ancora sono maturi solo per fare i coglioni bevendo la solita birra e parlando alla solita maniera del nulla e poi aspettando che siano sempre mamma e papà a risolvergli i problemi. Ovviamente anche per me, più meno che più, fu così, s’intende. Mentre invece questi ragazzi hanno attraversato deserti e mari, sfidato la morte e gli scafisti, la fame e la sete per arrivare qua a cercare fortuna e vita. Ma torniamo a oggi. Bene, guardo con più attenzione. E vedo questi 7 o 8 marcantoni che iniziano ad essere avvicinati da alcune ragazzine bianche, forse indigene forse no ma non è rilevante. Iniziano tutti a ridere e scherzare. Lentamente si avvicinano anche due o tre ragazzi di lingua araba. Si vede che sono un po’ più scafati dei neri del Centrafrica ma la comitiva continua a stare bene insieme. Distolgo l’attenzione e vedo, guardando con occhi più attenti, che la piccola spiaggetta del molo e gli scogli che lì si vanno a insabbiare sono pieni di persone non italiane. E le riconosci ma non per le stupidate razziste lombrosiane tanto in voga oggi ma perché ognuna di quelle persone ha un suo modo particolare di parlare, di vestire, di ridere…insomma un caleidoscopio multiculturale impensabile pochi anni fa. Una bella conquista, se solo l’Italia non fosse popolate da idioti, non tutti ma una grande maggioranza. Intanto l’allegra brigata italo-africana-araba prosegue a divertirsi e ti accorgi che sono proprio uguali a come eravamo noi alla loro età: stesse pulsioni, stessi atteggiamenti, stessa ingenuità…solo che loro hanno attraversato deserti e mari per non morire in guerra o di fame. E allora penso che non sono proprio uguali a noi. No, non lo sono. Sono meglio, molto meglio di noi ex giovanotti.
Mi stavo iniziando davvero a divertirmi pensando a tanti, purtroppo troppi, razzisti indigeni che si sfiniscono a masturbarsi perché incapaci di trovarsi una donna, anche brutta ma una donna, e che se la pigliano con loro, i migranti, per sfogare la loro impotenza culturale e non solo. E mi divertivo a pensare anche a quelle sfigatelle razziste in gonna e tatuaggio tribale sul braccio che la devono dare ad altri sfigati razzisti, di sesso maschile, e si perdono tutto quel possibile ben di dio.
Risalgo gli scogli, pensando che se anche dio non esiste ogni tanto un po’ di giustizia divinamente laica esiste. Faccio due passi sul molo con un ritrovato buon umore. Passeggio lentamente intanto che il sole delle sei di pomeriggio termina di asciugarmi. A metà molo mi passano di fianco due donne, due giovani mamme con tanto di pargoletti nella carrozzina. Sono giovani ma non ragazzine, saranno sui 35-40 anni e le sento argomentare delle spalle e dei bicipiti di due di quei ragazzoni neri di poco prima che adesso se ne stanno seduti sul bordo degli scogli ad asciugarsi. Queste due mamme argomentavano con dovizia di particolari la descrizione dei giovanotti subsahariani. Potenza degli ormoni in circolo, mi dico.
E la cosa mi ha ancor più divertito perché ho capito che, per fortuna la nostra italianità se ne andrà a farsi fottere molto presto insieme ai nostri razzismi, luoghi comuni, ipocrisie…tutto spazzato via da questi marcantoni in attesa che arrivino anche le loro donne che saranno sicuramente, amazzoni dalla pelle avorio che riflessa nelle onde del nostro piccolo e glorioso mare diverrà come un potente afrodisiaco per questi poveri italiani che tutto sono meno che “brava gente”.
Il mio ricordo di Arnaldo Cambiaghi
(dal libro "Arnaldo Cambiaghi. Il coraggio e l'emozione della solidarietà" a cura di Gianni Fossati e Andrea Genovali - Marco Del Bucchia editore)
La stesura di questo libro per ricordare la figura di Arnaldo Cambiaghi è stata un’emozionante e trepidante cavalcata in un mare di ricordi e di storia. Proprio così. La mia storia personale si è confusa, intrecciata, diluita con la storia nobile, alta di un compagno che ha lasciato una sua profonda impronta nella storia della solidarietà con Cuba. Un’impronta indelebile.
Ricordo con nostalgia e rimpianto le lunghe serate a casa sua quando, a metà degli anni Ottanta, arrivavo a Milano con l’interregionale da Viareggio al venerdì sera per partecipare alla segreteria o al direttivo nazionale. Spesso mi ospitava a casa sua e insieme alla sua compagna di vita, Marisa, stavamo quasi sempre fino all’una e oltre della notte a parlare di Cuba, del mondo e delle nostre vite. Allora ero giovane e ascoltarlo era come abbeverarmi alla fonte della storia, della nostra storia.
Fu Arnaldo a insegnarmi i pilastri fondamentali della solidarietà internazionalista. Senza Cambiaghi la mia vita politica sarebbe stata diversa, meno ricca di emozioni, di sensazioni, di slanci. No, non gliel’ho mai detto. Forse ho voluto proporre questo libro, insieme al compagno e amico Gianni Fossati e grazie all’editore Del Bucchia, per dirglielo così. Fuori tempo massimo ma con la certezza che lui già lo sapesse da tempo l’affetto e la riconoscenza che stare al suo fianco ha significato nel mio percorso di uomo e di militante.
Cambiaghi, fu il primo a rompere il blocco statunitense a Cuba organizzando viaggi di turismo politico. Aprì rotte turistiche, che ancor prima di essere turistiche erano politiche, in paesi che allora, anche al di là di Cuba, nessuno aveva ancora avuto il cuore e l’ardire di proporre. Mi raccontò del suo primo viaggio di approfondimento per nuove escursioni nel sud-est asiatico e le peripezie che aveva compiuto, come stare per esempio a dormire in un’amaca per evitare di trovarsi dei serpenti nel letto.
Un pioniere anche in questo, con quella sua vita avventurosa e ricca di esperienze non comuni che lui faceva sembrare normali.
E poi, il Cambiaghi che mi racconta la sua esperienza da giovanissimo partigiano quando i fascisti e i tedeschi inscenarono un macabro rituale per una falsa fucilazione destinata a lui e ad altri compagni. E quel ragazzino tremante divenne ancor più uomo e convinto antifascista di fronte alle canne di quei maledetti fucili: giurando per sempre la propria fedeltà agli ideali dei suoi compagni caduti in combattimento per liberare l’Italia dai nazifascisti.
E poi la sua entrata a Milano con le formazioni partigiane della gloriosa Garibaldi. Lui, ragazzino con il fucile in spalla, ha dare il proprio contributo per riscattare la viltà di un popolo sottomesso e accondiscendente per lunghi venti anni alla dittatura fascista.
Ma nessuno pensi che in lui ci fossero accenni di zelante compiacimento o enfatica esposizione delle sue vicende. Quando mi raccontò questo e altri episodi della sua vita ciò che esondava imperiosa era solo la sua umanità che denudava le cose da ogni accenno di retorica o di eroismo.
Un altro esempio.
La crisi della Baia dei Porci. Lui era a Cuba. E fu per me una lezione di storia ma anche uno spasso irresistibile ascoltare il suo racconto di quei giorni quando gli dettero una specie di fucile a tappi per fare la guardia su un pezzo di costa dell’Avana. Quanti fra di noi non avrebbero eliminato certi particolari evidenziando solo il coraggio e la coerenza di essere a Cuba, a un passo dall’invasione di mercenari sostenuti dagli Stati Uniti di Kennedy per abbattere la rivoluzione? Quanti non avrebbero enfatizzato il rischio corso per difendere Cuba e la sua rivoluzione? Lui, invece, ti raccontava di quel fuciletto e dell’inutilità di essere sbattuto a fare la guardia al niente di fronte all’immenso mare cubano!
Questo era Cambiaghi; questo era ciò che apprezzavo e amavo immensamente di questo compagno. Aborriva la retorica, anche se aveva profondi sentimenti e una sensibilità fuori dal comune. Sentiva sulla sua pelle gli schiaffi che l’imperialismo e il capitalismo davano sui corpi martoriati dei popoli d’America, d’Asia, d’Africa e su quelli dei suoi compagni di fabbrica o sulle vite di quelle meravigliose donne nelle risaie del pavese che, giovanissimo e timido sindacalista di fronte a così tante donne, aveva imparato a conoscere aiutandole a difendere i loro interessi, facendosi infiniti chilometri in bicicletta per organizzare riunioni e rivendicazioni.
Un’altra era geologica di fronte allo squallore di questi nostri tristi tempi.
Era profondamente schivo e riservato Arnaldo e provava quasi fastidio quando si commentava, enfatizzandole le cose che ci raccontava. Non era un eroe, non gli era mai interessato esserlo e quando all’orizzonte balenava un accento di “laica santificazione” che a molti piacerebbe avere, lui fuggiva a gambe levate. Ridendo e commentando con una battuta sagace e pungente, da milanese d’altri tempi, quelle stupidità sostenuta da un filo di voce flebile che sempre lo ha contraddistinto.
Una coerenza mai perduta nei suoi anni di vita ma neppure mai sbandierata come gagliardetto di benemerenza. No, Arnaldo rifuggiva queste piccolezze dell’animo umano che purtroppo alle volte albergano anche in cuori audaci che avevano saputo sfidare la morte con coraggio e abnegazione.
Ero, e sono ancor oggi, profondamente colpito da questa leggerezza di Arnaldo.
La leggerezza delle persone profonde, vere che sanno di aver partecipato a pezzi importanti della storia nel corso della propria vita e vogliono trasmetterti un messaggio importante: quello della coerenza disinteressata. Ben sapendo, però, delle difficoltà che gli uomini e le donne possono incontrare nel corso delle loro vite e di come certe debolezze possono entrare con violenza nelle esistenze dei compagni.
Lui non lo ha mai permesso per la sua vita ma da grande uomo non lo ha mai fatto pesare in quei compagni e in quelle compagne che si erano lasciati andare e avevano compiuto atti che non erano in coerenza con la propria storia.
Non li ha mai giudicati, certo non li approvava, ma aveva in sé la forza morale di chi è sicuro dei suoi valori e dei suoi ideali e si poteva permettere anche di comprendere altri punti di vista. Se ne rattristava ma non giudicava, ben sapendo che la vita spesso ti impone anche di fare scelte sbagliate. Era la grande tolleranza di chi sta un gradino sopra gli altri, sempre e non lo fa pesare. Mai.
Un grande dirigente comunista e internazionalista. E oggi ne sentiamo la brutale mancanza.
Ormai sono tanti anni che Arnaldo se n’è andato.
Alle volte mi pare che il suo ricordo si sia annebbiato nella mente di molti compagni e compagne. So che non è così ma il dubbio alle volte mi assale e mi ferisce. Però so che è un dubbio, che anche questo libro e l’entusiasmo di chi vi ha collaborato dimostra, che non esiste.
Beata la società che non ha bisogno di eroi disse una volta il grande Brecht, ma fortunati sono gli uomini e le donne che hanno conosciuto, lavorato e collaborato con compagni come Arnaldo che non era un eroe, non era un dirigente con le tasche piene di soldi e gratificazioni istituzionali che pontificano sulla pelle degli altri; ma un operaio che si era costruito la sua storia personale con il lavoro, la fatica e la cultura.
Un compagno che grazie al Partito, e uso apposta la maiuscola, si era emancipato e attraverso esso aveva collaborato a far ritrovare prima la libertà a questo paese e poi ha ricostruirlo dalle fondamenta dopo la notte tenebrosa e violenta del fascismo.
Credeva fortemente nello spirito innovatore e nella democrazia progressiva della costituzione nata dalla lotta antifascista e dalla Resistenza. Era anche la sua costituzione e per essa aveva lottato e combattuto. E di quello spirito aveva pervaso ogni sua azione di rivoluzionario e di comunista.
Un infaticabile lottatore per la solidarietà con Cuba e la costruzione di un mondo dove gli ideali del comunismo potessero dispiegarsi al massimo grado, sapendo anche trovare punti di mediazione di fronte alle situazioni e alla natura dell’uomo.
Fu un infaticabile costruttore di pace e solidarietà internazionalista, malgrado un fisico minuto e una salute mai perfettamente a posto, almeno da quando l’ho conosciuto nell’ormai lontano 1992.
Arnaldo Cambiaghi è stato un compagno di quella gloriosa comunità di uomini e donne che formarono e costruirono l’esperienza del Partito Comunista Italiano e poi il fondatore e per lunghi e entusiasmanti anni il presidente dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba che, sotto la sua guida, ha conseguito i migliori risultati di sempre sia in termini politici, che solidali, che organizzativi.
E’ stato Arnaldo a dare corpo e sostanza all’associazione. E’ stato lui a trasformare un’amalgama inconsistente di circoli e persone, che spesso si riunivano per parlare di Cuba e bere un goccio di rum, in un’associazione nazionale con una linea politica e un sentire comune e condiviso che ha formato nel tempo un senso di appartenenza che prima di lui non esisteva.
Ha saputo trasformare, cioè, un organizzativismo, spesso individualistico e festaiolo, in un bene comune politico prezioso, da difendere e sostenere. Sempre. Una valida e affascinante ragione per spendere ogni minuto della nostra vita, fino all’ultimo secondo come hanno fatto Arnaldo, Roberto Foresti, Marilisa Verti e tantissimi altri compagni e compagne prima di noi. Una comunità di uomini e donne con le loro manchevolezze, i loro difetti, il loro egocentrismo ma con la passione indomita e la voglia irrefrenabile di cambiare questo mondo e sostenere quello che fu il “Primo territorio libero d’America”.
Senza Arnaldo Cambiaghi tutto questo non sarebbe mai stato possibile. Per questo è necessario e fondamentale continuare a ricordare la lezione di vita e di politica che ci ha consegnato. Con l’orgoglio e la consapevolezza di far parte di una comunità che non muore e non morirà mai. Arnaldo, ci ha insegnato la dignità e l’amore verso un’idea, un ideale che senza dogmatismi o schematismi rappresenta ancor oggi una soluzione: la soluzione alle indicibili sofferenze che un sistema economico e sociale impone a miliardi di esseri umani. E ce l’ha insegnato con la sua leggerezza e la sua passione.
(Nella foto con Cambiaghi al comizio finale dell'unica festa nazionale dell'Associazione di Amicizia Italia-Cuba svoltasi a Viareggio verso la metà degli anni Novanta)
(dal libro "Arnaldo Cambiaghi. Il coraggio e l'emozione della solidarietà" a cura di Gianni Fossati e Andrea Genovali - Marco Del Bucchia editore)
La stesura di questo libro per ricordare la figura di Arnaldo Cambiaghi è stata un’emozionante e trepidante cavalcata in un mare di ricordi e di storia. Proprio così. La mia storia personale si è confusa, intrecciata, diluita con la storia nobile, alta di un compagno che ha lasciato una sua profonda impronta nella storia della solidarietà con Cuba. Un’impronta indelebile.
Ricordo con nostalgia e rimpianto le lunghe serate a casa sua quando, a metà degli anni Ottanta, arrivavo a Milano con l’interregionale da Viareggio al venerdì sera per partecipare alla segreteria o al direttivo nazionale. Spesso mi ospitava a casa sua e insieme alla sua compagna di vita, Marisa, stavamo quasi sempre fino all’una e oltre della notte a parlare di Cuba, del mondo e delle nostre vite. Allora ero giovane e ascoltarlo era come abbeverarmi alla fonte della storia, della nostra storia.
Fu Arnaldo a insegnarmi i pilastri fondamentali della solidarietà internazionalista. Senza Cambiaghi la mia vita politica sarebbe stata diversa, meno ricca di emozioni, di sensazioni, di slanci. No, non gliel’ho mai detto. Forse ho voluto proporre questo libro, insieme al compagno e amico Gianni Fossati e grazie all’editore Del Bucchia, per dirglielo così. Fuori tempo massimo ma con la certezza che lui già lo sapesse da tempo l’affetto e la riconoscenza che stare al suo fianco ha significato nel mio percorso di uomo e di militante.
Cambiaghi, fu il primo a rompere il blocco statunitense a Cuba organizzando viaggi di turismo politico. Aprì rotte turistiche, che ancor prima di essere turistiche erano politiche, in paesi che allora, anche al di là di Cuba, nessuno aveva ancora avuto il cuore e l’ardire di proporre. Mi raccontò del suo primo viaggio di approfondimento per nuove escursioni nel sud-est asiatico e le peripezie che aveva compiuto, come stare per esempio a dormire in un’amaca per evitare di trovarsi dei serpenti nel letto.
Un pioniere anche in questo, con quella sua vita avventurosa e ricca di esperienze non comuni che lui faceva sembrare normali.
E poi, il Cambiaghi che mi racconta la sua esperienza da giovanissimo partigiano quando i fascisti e i tedeschi inscenarono un macabro rituale per una falsa fucilazione destinata a lui e ad altri compagni. E quel ragazzino tremante divenne ancor più uomo e convinto antifascista di fronte alle canne di quei maledetti fucili: giurando per sempre la propria fedeltà agli ideali dei suoi compagni caduti in combattimento per liberare l’Italia dai nazifascisti.
E poi la sua entrata a Milano con le formazioni partigiane della gloriosa Garibaldi. Lui, ragazzino con il fucile in spalla, ha dare il proprio contributo per riscattare la viltà di un popolo sottomesso e accondiscendente per lunghi venti anni alla dittatura fascista.
Ma nessuno pensi che in lui ci fossero accenni di zelante compiacimento o enfatica esposizione delle sue vicende. Quando mi raccontò questo e altri episodi della sua vita ciò che esondava imperiosa era solo la sua umanità che denudava le cose da ogni accenno di retorica o di eroismo.
Un altro esempio.
La crisi della Baia dei Porci. Lui era a Cuba. E fu per me una lezione di storia ma anche uno spasso irresistibile ascoltare il suo racconto di quei giorni quando gli dettero una specie di fucile a tappi per fare la guardia su un pezzo di costa dell’Avana. Quanti fra di noi non avrebbero eliminato certi particolari evidenziando solo il coraggio e la coerenza di essere a Cuba, a un passo dall’invasione di mercenari sostenuti dagli Stati Uniti di Kennedy per abbattere la rivoluzione? Quanti non avrebbero enfatizzato il rischio corso per difendere Cuba e la sua rivoluzione? Lui, invece, ti raccontava di quel fuciletto e dell’inutilità di essere sbattuto a fare la guardia al niente di fronte all’immenso mare cubano!
Questo era Cambiaghi; questo era ciò che apprezzavo e amavo immensamente di questo compagno. Aborriva la retorica, anche se aveva profondi sentimenti e una sensibilità fuori dal comune. Sentiva sulla sua pelle gli schiaffi che l’imperialismo e il capitalismo davano sui corpi martoriati dei popoli d’America, d’Asia, d’Africa e su quelli dei suoi compagni di fabbrica o sulle vite di quelle meravigliose donne nelle risaie del pavese che, giovanissimo e timido sindacalista di fronte a così tante donne, aveva imparato a conoscere aiutandole a difendere i loro interessi, facendosi infiniti chilometri in bicicletta per organizzare riunioni e rivendicazioni.
Un’altra era geologica di fronte allo squallore di questi nostri tristi tempi.
Era profondamente schivo e riservato Arnaldo e provava quasi fastidio quando si commentava, enfatizzandole le cose che ci raccontava. Non era un eroe, non gli era mai interessato esserlo e quando all’orizzonte balenava un accento di “laica santificazione” che a molti piacerebbe avere, lui fuggiva a gambe levate. Ridendo e commentando con una battuta sagace e pungente, da milanese d’altri tempi, quelle stupidità sostenuta da un filo di voce flebile che sempre lo ha contraddistinto.
Una coerenza mai perduta nei suoi anni di vita ma neppure mai sbandierata come gagliardetto di benemerenza. No, Arnaldo rifuggiva queste piccolezze dell’animo umano che purtroppo alle volte albergano anche in cuori audaci che avevano saputo sfidare la morte con coraggio e abnegazione.
Ero, e sono ancor oggi, profondamente colpito da questa leggerezza di Arnaldo.
La leggerezza delle persone profonde, vere che sanno di aver partecipato a pezzi importanti della storia nel corso della propria vita e vogliono trasmetterti un messaggio importante: quello della coerenza disinteressata. Ben sapendo, però, delle difficoltà che gli uomini e le donne possono incontrare nel corso delle loro vite e di come certe debolezze possono entrare con violenza nelle esistenze dei compagni.
Lui non lo ha mai permesso per la sua vita ma da grande uomo non lo ha mai fatto pesare in quei compagni e in quelle compagne che si erano lasciati andare e avevano compiuto atti che non erano in coerenza con la propria storia.
Non li ha mai giudicati, certo non li approvava, ma aveva in sé la forza morale di chi è sicuro dei suoi valori e dei suoi ideali e si poteva permettere anche di comprendere altri punti di vista. Se ne rattristava ma non giudicava, ben sapendo che la vita spesso ti impone anche di fare scelte sbagliate. Era la grande tolleranza di chi sta un gradino sopra gli altri, sempre e non lo fa pesare. Mai.
Un grande dirigente comunista e internazionalista. E oggi ne sentiamo la brutale mancanza.
Ormai sono tanti anni che Arnaldo se n’è andato.
Alle volte mi pare che il suo ricordo si sia annebbiato nella mente di molti compagni e compagne. So che non è così ma il dubbio alle volte mi assale e mi ferisce. Però so che è un dubbio, che anche questo libro e l’entusiasmo di chi vi ha collaborato dimostra, che non esiste.
Beata la società che non ha bisogno di eroi disse una volta il grande Brecht, ma fortunati sono gli uomini e le donne che hanno conosciuto, lavorato e collaborato con compagni come Arnaldo che non era un eroe, non era un dirigente con le tasche piene di soldi e gratificazioni istituzionali che pontificano sulla pelle degli altri; ma un operaio che si era costruito la sua storia personale con il lavoro, la fatica e la cultura.
Un compagno che grazie al Partito, e uso apposta la maiuscola, si era emancipato e attraverso esso aveva collaborato a far ritrovare prima la libertà a questo paese e poi ha ricostruirlo dalle fondamenta dopo la notte tenebrosa e violenta del fascismo.
Credeva fortemente nello spirito innovatore e nella democrazia progressiva della costituzione nata dalla lotta antifascista e dalla Resistenza. Era anche la sua costituzione e per essa aveva lottato e combattuto. E di quello spirito aveva pervaso ogni sua azione di rivoluzionario e di comunista.
Un infaticabile lottatore per la solidarietà con Cuba e la costruzione di un mondo dove gli ideali del comunismo potessero dispiegarsi al massimo grado, sapendo anche trovare punti di mediazione di fronte alle situazioni e alla natura dell’uomo.
Fu un infaticabile costruttore di pace e solidarietà internazionalista, malgrado un fisico minuto e una salute mai perfettamente a posto, almeno da quando l’ho conosciuto nell’ormai lontano 1992.
Arnaldo Cambiaghi è stato un compagno di quella gloriosa comunità di uomini e donne che formarono e costruirono l’esperienza del Partito Comunista Italiano e poi il fondatore e per lunghi e entusiasmanti anni il presidente dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba che, sotto la sua guida, ha conseguito i migliori risultati di sempre sia in termini politici, che solidali, che organizzativi.
E’ stato Arnaldo a dare corpo e sostanza all’associazione. E’ stato lui a trasformare un’amalgama inconsistente di circoli e persone, che spesso si riunivano per parlare di Cuba e bere un goccio di rum, in un’associazione nazionale con una linea politica e un sentire comune e condiviso che ha formato nel tempo un senso di appartenenza che prima di lui non esisteva.
Ha saputo trasformare, cioè, un organizzativismo, spesso individualistico e festaiolo, in un bene comune politico prezioso, da difendere e sostenere. Sempre. Una valida e affascinante ragione per spendere ogni minuto della nostra vita, fino all’ultimo secondo come hanno fatto Arnaldo, Roberto Foresti, Marilisa Verti e tantissimi altri compagni e compagne prima di noi. Una comunità di uomini e donne con le loro manchevolezze, i loro difetti, il loro egocentrismo ma con la passione indomita e la voglia irrefrenabile di cambiare questo mondo e sostenere quello che fu il “Primo territorio libero d’America”.
Senza Arnaldo Cambiaghi tutto questo non sarebbe mai stato possibile. Per questo è necessario e fondamentale continuare a ricordare la lezione di vita e di politica che ci ha consegnato. Con l’orgoglio e la consapevolezza di far parte di una comunità che non muore e non morirà mai. Arnaldo, ci ha insegnato la dignità e l’amore verso un’idea, un ideale che senza dogmatismi o schematismi rappresenta ancor oggi una soluzione: la soluzione alle indicibili sofferenze che un sistema economico e sociale impone a miliardi di esseri umani. E ce l’ha insegnato con la sua leggerezza e la sua passione.
(Nella foto con Cambiaghi al comizio finale dell'unica festa nazionale dell'Associazione di Amicizia Italia-Cuba svoltasi a Viareggio verso la metà degli anni Novanta)
16 maggio 1921 l'assassinio di Nieri e Paolini a Viareggio
Il 16 maggio 1921, 93 anni fa, furono assassinati a Viareggio da parte dei fascisti e dei militari i primi due martiri antifascisti della mia città: Pietro Neri e Enrico Paolini. Meno male che la nostra città, o almeno la parte migliore di essa, si ricorda ancora di questi due giovani che furono vigliaccamente assassinati da fascisti e militari che ordirono un agguato premeditato. Perché in piazza Grande quel giorno a sparare contro i calafati e le persone presenti non ci furono solo i fascisti...Fu l'ultimo tentativo della parte sana di Viareggio di arginare la valanga di fango che avrebbe coperto Viareggio e l'Italia intera per quasi venti lunghissimi anni.
Nel 2012 ho dedicato un mio libro a questi due martiri:
http://andreagenovali.altervista.org/
2 maggio 1920 la nascita della Libera Repubblica di Viareggio
Questi drammatici fatti segnarono la fine del "Biennio Rosso" della mia città. Nel 1920, infatti, Viareggio si erse contro la violenza e la prepotenza del re e dei padroni e per tre giorni si proclamò libera Repubblica. Ritengo utile, in chiave di analisi, ripensare a quei fatti e per questo posto un mio intervento con alcune considerazioni su cosa resti di quei lontani giorni di riscatto di una città e di un popolo.
http://viareggio1920.wordpress.com/2012/04/28/cosa-resta-dopo-navantadue-anni-delle-giornate-rosse-di-viareggio-del-2-maggio-1920-brevi-riflessioni-e-una-proposta-concreta/
Il 16 maggio 1921, 93 anni fa, furono assassinati a Viareggio da parte dei fascisti e dei militari i primi due martiri antifascisti della mia città: Pietro Neri e Enrico Paolini. Meno male che la nostra città, o almeno la parte migliore di essa, si ricorda ancora di questi due giovani che furono vigliaccamente assassinati da fascisti e militari che ordirono un agguato premeditato. Perché in piazza Grande quel giorno a sparare contro i calafati e le persone presenti non ci furono solo i fascisti...Fu l'ultimo tentativo della parte sana di Viareggio di arginare la valanga di fango che avrebbe coperto Viareggio e l'Italia intera per quasi venti lunghissimi anni.
Nel 2012 ho dedicato un mio libro a questi due martiri:
http://andreagenovali.altervista.org/
2 maggio 1920 la nascita della Libera Repubblica di Viareggio
Questi drammatici fatti segnarono la fine del "Biennio Rosso" della mia città. Nel 1920, infatti, Viareggio si erse contro la violenza e la prepotenza del re e dei padroni e per tre giorni si proclamò libera Repubblica. Ritengo utile, in chiave di analisi, ripensare a quei fatti e per questo posto un mio intervento con alcune considerazioni su cosa resti di quei lontani giorni di riscatto di una città e di un popolo.
http://viareggio1920.wordpress.com/2012/04/28/cosa-resta-dopo-navantadue-anni-delle-giornate-rosse-di-viareggio-del-2-maggio-1920-brevi-riflessioni-e-una-proposta-concreta/
Introduzione di Andrea
Genovali –
Presidente Associazione Puntocritico onlus
Premio Marenostrum 7 edizione ottobre 2012
http://www.delbucchia.it/libro.php?c=388
La settima edizione del Premio Marenostrum segna una nuova tappa della nostra avventura. E anche la seconda pubblicazione dei lavori pervenutici. Una nuova conquista, dovuta anche alla sensibilità dell’editore che rappresenta, pure lui, una eccezionalità nel campo dell’editoria. Ogni anno però è sempre più difficile trovare risorse ed energie disponibili a creare dal nulla una nuova edizione. Spesso affiora in noi la fatica e, alle volte, la voglia di mollare tutto. Lo sconforto ci vince e una sorta di pessimismo, imbevuto di realtà e razionalità, ci avvolge con le sue venefiche spire. Ci troviamo a pensare che per il nostro paese non ci sia più speranza; che il demone creato dagli uomini con la loro sete perenne di profitto, successo e denaro sia ormai il padrone incontrastato. Quasi nessuna possibilità di riportare il nostro mondo ad una dimensione minimamente vivibile ci appare di fronte. Cerchiamo allora, come avrebbe detto il compianto Vittorio Arrigoni, di Restare Umani. Per questo nel momento in cui, lentamente, iniziano ad arrivare i lavori degli scrittori e delle scrittrici migranti con il loro carico di esperienze, di entusiasmo, di progetti e di sogni alla fatica e alle difficoltà sostituiamo l’entusiasmo e la voglia di non lasciar andare questo piccolo, ma non troppo, patrimonio che abbiamo accumulato nel corso degli anni. Così, insieme, reagiamo come un collettivo vero, dove conta la totalità e mai l’individualità. Preferiamo fallire insieme, così come insieme abbiamo dato vita a questo progetto, che tradire lo spirito e l’anima profonda del Marenostrum. Ed è in quei momenti che il nostro solito, vecchio e inestinguibile entusiasmo per l’impossibile riaffiora. E con esso i nostri sogni e la voglia di lottare per ottenere l’impossibile. Ogni anno, puntualmente, rinasce in noi la voglia di pensarlo l’impossibile, di non arrenderci all’amorfismo e all’indifferenza, spesso maschera del razzismo e della xenofobia, presenti nel nostro paese.
Qualcuno ci dirà che non cresceremo mai; per molti non siamo adulti per come in troppi pensano dovrebbe essere un adulto in questa nostra triste epoca. A noi poco importa il giudizio dei benpensanti in qualsiasi salsa si presentino. Per noi è fondamentale mettere in piedi, ogni anno, questo premio con dentro le nostre idee. Idee, che ci rendiamo conto non sono proprio quelle dominanti oggi in Italia. Non siamo moderati, non siamo neppure politicamente corretti, non ci siamo mai piegati a nessun tipo di compromesso che discostasse la linea politica del premio dalle nostre idee, neppure quando quattro anni fa sacrificammo una fetta importante dei nostri scarsi finanziamenti rinunciando a prendere i soldi dell’amministrazione comunale di Viareggio, passata sotto la guida del PDL. Abbiamo sempre voluto essere chiari ma non per questo abbiamo mai mancato al compito strategico di costruire ponti e non muri fra comunità e persone di diverso colore della pelle, cultura, religione e ideali. Ci rendiamo conto che siamo una minoranza nel paese, ma questo non ci spinge a uniformarci all’opportunismo, al qualunquismo e a idee che estromettono un’idea di progresso, giustizia sociale e solidarietà dal loro agire concreto. A noi piacciono i fatti concreti perché le parole ormai per quasi tutti non sono più le pietre di cui parlava l’immenso Brecht. Noi viviamo in una sorta di campagna elettorale continua dove si assecondano le più miserabili pulsioni, come il razzismo, la xenofobia, l’omofobia solo per guadagnare consenso e in questo contesto le parole sono solo miserrime banderuole al vento. Per questo preferiamo i fatti e davanti a quei fatti ci mettiamo la nostra faccia. Senza infingimenti.
Ma queste, ve lo diciamo con franchezza, sono tutte cose che non aiutano a trovare finanziamenti e partner per sostenere le spese di un premio che, con quantità di denaro irrisorie, che spesso altri premi letterari usano solo per il ricevimento di gala, è riuscito, e anche quest’anno riesce, a portare a Viareggio personalità di livello internazionale. Siamo però dispiaciuti che premi di maggiore importanza e eco nel paese, come ad esempio il Viareggio-Repaci, ma non solo, non riescano a comprendere il dato di straordinaria importanza apportato dagli scrittori e delle scrittrici migranti in Italia. La profonda rivoluzione che gli scrittori e i giornalisti migranti stanno realizzando nel nostro paese era impensabile solo pochi anni fa. Sono un fenomeno sociale e culturale di una ricchezza tale che solo un paese imbevuto delle idee di una destra che ha vinto sul piano dell’egemonia culturale, prima ancora che politica, non riesce a cogliere. Noi, al contrario, abbiamo raccolto la sfida di aiutare queste persone ad avere una maggiore visibilità ma, soprattutto, lo facciamo perché loro ci stanno aiutando a migliorarci, a renderci più partecipi della vita di comunità che da anni vivono, lavorano e pagano le tasse, molto più di una infinità di criminali evasori fiscali italiani. La loro presenza rende anche noi cittadini migliori. La loro scrittura, senza più mediazioni da altre lingue, si esprime in italiano e attraverso la nostra lingua ci fanno conoscere le loro idee, le loro emozioni, il loro punto di vista sulla realtà.
La lingua italiana è tornata a vivere grazie a loro; grazie alla coniazione di neologismi prima a noi sconosciuti. L’italiano torna a vivere perché diventa lingua franca per persone di diversi continenti che si ritrovano in Italia a cercare di riprendersi un poco di quella vita che il tenore di vita dell’occidente ha depredato loro. E’ emozionante sentire parlare dei bambini cinesi, indiani, latinoamericano o africani in un perfetto italiano e alle volte anche con parole e cadenze dialettali. Questi bambini sono il futuro del paese, sono italiani a tutti gli effetti anche se la depravante politica italiana non riesce ancora a riconoscere quello che quasi tutti i paesi del mondo hanno nella loro legislazione: chi nasce in un paese ne diventa anche cittadino. Noi non ci arrendiamo e andiamo avanti. Siamo consapevoli che si deve saper credere nei sogni se si vuole sopravvivere all’abbrutimento culturale, politico e sociale di questi anni di disperante appiattimento e omologazione.
Noi crediamo che si debba avere la capacità di pensare anche l’impossibile. Per questo rimaniamo “senza se e senza ma” dalla parte dei migranti e di tutte quelle persone che in Italia e nel mondo lottano per creare le condizioni necessarie affinché la giustizia sociale, il sistema economico, quello fiscale, le risorse energetiche e la cultura siano al servizio dei popoli e non di pochi rapaci gruppi industriali, multinazionali o lobbies.ui per effettuare modifiche.
Premio Marenostrum 7 edizione ottobre 2012
http://www.delbucchia.it/libro.php?c=388
La settima edizione del Premio Marenostrum segna una nuova tappa della nostra avventura. E anche la seconda pubblicazione dei lavori pervenutici. Una nuova conquista, dovuta anche alla sensibilità dell’editore che rappresenta, pure lui, una eccezionalità nel campo dell’editoria. Ogni anno però è sempre più difficile trovare risorse ed energie disponibili a creare dal nulla una nuova edizione. Spesso affiora in noi la fatica e, alle volte, la voglia di mollare tutto. Lo sconforto ci vince e una sorta di pessimismo, imbevuto di realtà e razionalità, ci avvolge con le sue venefiche spire. Ci troviamo a pensare che per il nostro paese non ci sia più speranza; che il demone creato dagli uomini con la loro sete perenne di profitto, successo e denaro sia ormai il padrone incontrastato. Quasi nessuna possibilità di riportare il nostro mondo ad una dimensione minimamente vivibile ci appare di fronte. Cerchiamo allora, come avrebbe detto il compianto Vittorio Arrigoni, di Restare Umani. Per questo nel momento in cui, lentamente, iniziano ad arrivare i lavori degli scrittori e delle scrittrici migranti con il loro carico di esperienze, di entusiasmo, di progetti e di sogni alla fatica e alle difficoltà sostituiamo l’entusiasmo e la voglia di non lasciar andare questo piccolo, ma non troppo, patrimonio che abbiamo accumulato nel corso degli anni. Così, insieme, reagiamo come un collettivo vero, dove conta la totalità e mai l’individualità. Preferiamo fallire insieme, così come insieme abbiamo dato vita a questo progetto, che tradire lo spirito e l’anima profonda del Marenostrum. Ed è in quei momenti che il nostro solito, vecchio e inestinguibile entusiasmo per l’impossibile riaffiora. E con esso i nostri sogni e la voglia di lottare per ottenere l’impossibile. Ogni anno, puntualmente, rinasce in noi la voglia di pensarlo l’impossibile, di non arrenderci all’amorfismo e all’indifferenza, spesso maschera del razzismo e della xenofobia, presenti nel nostro paese.
Qualcuno ci dirà che non cresceremo mai; per molti non siamo adulti per come in troppi pensano dovrebbe essere un adulto in questa nostra triste epoca. A noi poco importa il giudizio dei benpensanti in qualsiasi salsa si presentino. Per noi è fondamentale mettere in piedi, ogni anno, questo premio con dentro le nostre idee. Idee, che ci rendiamo conto non sono proprio quelle dominanti oggi in Italia. Non siamo moderati, non siamo neppure politicamente corretti, non ci siamo mai piegati a nessun tipo di compromesso che discostasse la linea politica del premio dalle nostre idee, neppure quando quattro anni fa sacrificammo una fetta importante dei nostri scarsi finanziamenti rinunciando a prendere i soldi dell’amministrazione comunale di Viareggio, passata sotto la guida del PDL. Abbiamo sempre voluto essere chiari ma non per questo abbiamo mai mancato al compito strategico di costruire ponti e non muri fra comunità e persone di diverso colore della pelle, cultura, religione e ideali. Ci rendiamo conto che siamo una minoranza nel paese, ma questo non ci spinge a uniformarci all’opportunismo, al qualunquismo e a idee che estromettono un’idea di progresso, giustizia sociale e solidarietà dal loro agire concreto. A noi piacciono i fatti concreti perché le parole ormai per quasi tutti non sono più le pietre di cui parlava l’immenso Brecht. Noi viviamo in una sorta di campagna elettorale continua dove si assecondano le più miserabili pulsioni, come il razzismo, la xenofobia, l’omofobia solo per guadagnare consenso e in questo contesto le parole sono solo miserrime banderuole al vento. Per questo preferiamo i fatti e davanti a quei fatti ci mettiamo la nostra faccia. Senza infingimenti.
Ma queste, ve lo diciamo con franchezza, sono tutte cose che non aiutano a trovare finanziamenti e partner per sostenere le spese di un premio che, con quantità di denaro irrisorie, che spesso altri premi letterari usano solo per il ricevimento di gala, è riuscito, e anche quest’anno riesce, a portare a Viareggio personalità di livello internazionale. Siamo però dispiaciuti che premi di maggiore importanza e eco nel paese, come ad esempio il Viareggio-Repaci, ma non solo, non riescano a comprendere il dato di straordinaria importanza apportato dagli scrittori e delle scrittrici migranti in Italia. La profonda rivoluzione che gli scrittori e i giornalisti migranti stanno realizzando nel nostro paese era impensabile solo pochi anni fa. Sono un fenomeno sociale e culturale di una ricchezza tale che solo un paese imbevuto delle idee di una destra che ha vinto sul piano dell’egemonia culturale, prima ancora che politica, non riesce a cogliere. Noi, al contrario, abbiamo raccolto la sfida di aiutare queste persone ad avere una maggiore visibilità ma, soprattutto, lo facciamo perché loro ci stanno aiutando a migliorarci, a renderci più partecipi della vita di comunità che da anni vivono, lavorano e pagano le tasse, molto più di una infinità di criminali evasori fiscali italiani. La loro presenza rende anche noi cittadini migliori. La loro scrittura, senza più mediazioni da altre lingue, si esprime in italiano e attraverso la nostra lingua ci fanno conoscere le loro idee, le loro emozioni, il loro punto di vista sulla realtà.
La lingua italiana è tornata a vivere grazie a loro; grazie alla coniazione di neologismi prima a noi sconosciuti. L’italiano torna a vivere perché diventa lingua franca per persone di diversi continenti che si ritrovano in Italia a cercare di riprendersi un poco di quella vita che il tenore di vita dell’occidente ha depredato loro. E’ emozionante sentire parlare dei bambini cinesi, indiani, latinoamericano o africani in un perfetto italiano e alle volte anche con parole e cadenze dialettali. Questi bambini sono il futuro del paese, sono italiani a tutti gli effetti anche se la depravante politica italiana non riesce ancora a riconoscere quello che quasi tutti i paesi del mondo hanno nella loro legislazione: chi nasce in un paese ne diventa anche cittadino. Noi non ci arrendiamo e andiamo avanti. Siamo consapevoli che si deve saper credere nei sogni se si vuole sopravvivere all’abbrutimento culturale, politico e sociale di questi anni di disperante appiattimento e omologazione.
Noi crediamo che si debba avere la capacità di pensare anche l’impossibile. Per questo rimaniamo “senza se e senza ma” dalla parte dei migranti e di tutte quelle persone che in Italia e nel mondo lottano per creare le condizioni necessarie affinché la giustizia sociale, il sistema economico, quello fiscale, le risorse energetiche e la cultura siano al servizio dei popoli e non di pochi rapaci gruppi industriali, multinazionali o lobbies.ui per effettuare modifiche.
Introduzione di Andrea Genovali - Presidente Associazione Puntocritico onlus Premio Marenostrum 6 edizione ottobre 2011
http://www.delbucchia.it/libro.php?c=288
Ricominciamo da sei, potremmo dire parafrasando un film del compianto Massimo Troisi, per parlare di questa sesta edizione del nostro premio Marenostrum dedicato alla cultura migrante in Italia. Da questa edizione avremo la possibilità di pubblicare l’antologia del premio grazie alla squisita collaborazione con l’editore Marco Del Bucchia. E’ un passaggio importante per il nostro premio riuscire finalmente a pubblicare i lavori pervenutici. Ed è importante perché lo facciamo con un editore, di spessore e sensibilità, che è ben conosciuto e radicato nel territorio dove il nostro premio è nato. Per una manifestazione come la nostra, pubblicarne l’antologia dei testi, è la consacrazione definitiva della bontà dell’iniziativa che da sei edizioni portiamo avanti con un budget a disposizione irrisorio che per altri premi servirebbe solo forse per un pranzo o una cena di gala. Noi con poche migliaia di euro, dati dagli enti pubblici, e tutta militanza volontaria e gratuita, siamo riusciti a far venire in Italia personalità di fama mondiale del calibro di Eduardo Galeano, Uri Avnery, Malalay Joya, solo per citarne alcune e poi don Andrea Gallo, don Luigi Ciotti, Germano Nicolini (il famoso partigiano: comandante Diavolo), Laura Boldrini… e altri ancora coinvolgendo così la parte più avanzata e progressista del mondo cattolico e dell’impegno laico e civile nel nostro paese. Una grande soddisfazione che va a merito esclusivo dei compagni e delle compagne che nel corso dell’anno lavorano per dare vita e sostanza a questa nostra manifestazione di ottobre.
I migranti rappresentano una risorsa straordinaria per il nostro paese. Qui a Viareggio, voglio ricordarlo con commozione, anche alcuni di loro sono stati fra le vittime della strage del 29 giugno del 2009. Una strage frutto delle responsabilità di chi avrebbe dovuto controllare adeguatamente i vagoni del convoglio che trasportava gas e che esplose nella stazione di Viareggio. In quella strage persero la vita 32 persone e fra essi anche cittadini marocchini. A Viareggio i migranti hanno pagato insieme ai viareggini il loro tributo di sangue alla deregulation liberista nelle ferrovie italiane.
L’associazione Puntocritico con il premio Marenostrum ha voluto dare il proprio contributo alla costruzione di un paese in cui la solidarietà e la cultura siano fra i pilastri fondamentali di una società. Purtroppo, oggi assistiamo a istituzioni pubbliche, governo in primis, che non lavorano per questo grande obiettivo ma, al contrario, sostenute da forze razziste, fomentano l’esclusione e l’espulsione da un lato e lo sfruttamento rapace dall’altro di queste persone che sono in Italia alla ricerca di recuperare quello che nei loro paesi gli è stato sottratto da guerre, dittature e da un modello di sviluppo capitalistico incapace di dare risposte all’umanità. Queste persone sono qui con la speranza di una vita migliore, di un lavoro. E al contempo contribuiscono in modo sostanziale anche al benessere di noi italiani. La stragrande maggioranza di queste persone lavora, paga le tasse, rispetta le leggi anche se i media, spesso controllati dal governo e dal premier in modo diretto o indiretto, vogliono evidenziarne ben altri aspetti. Noi italiani siamo un popolo di migranti, anche se oggi tendiamo a dimenticarcelo. Sono stati milioni gli italiani che dalla seconda metà dell’Ottocento in poi sono emigrati in altri paesi europei e in altri continenti per cercare lavoro e un futuro degno per loro e i loro figli. L’egoismo, l’ignoranza, il razzismo istituzionalizzato e la xenofobia compiaciuta dilaganti nel nostro paese sono a testimonianza della perdita di memoria storica e dell’offuscamento degli ideali che fecero rinascere questo nostro paese dopo la brutale dittatura fascista.
Con il premio Marenostrum noi vogliamo evidenziare e sottolineare l’importanza della presenza di queste persone in Italia, non solo per i risvolti economici, ma soprattutto sotto il profilo culturale e per il contributo che forniscono al fine di rendere nuovamente vitale la nostra lingua,L’italiano altrimenti destinata ad un progressivo inaridimento. La eccezionale rivoluzione che queste persone stanno apportando alla nostra lingua e alla nostra cultura è di straordinaria importanza. Basterebbe pensare solo ai neologismi coniati da questi scrittori e scrittrici, giornalisti e lavoratori provenienti da altri paesi del mondo. Vorrei ricordare, a titolo esemplificativo, gli imbarazzismi, coniato dal membro della nostra giuria e vincitore della prima edizione del premio il dottore Kossi Komla-Ebrì, togolose, e scrittore di grande talento. Queste persone che sono scrittori, intellettuali, professionisti ma anche semplici lavoratori e cittadini stanno rivitalizzando e rendendo di nuovo viva la nostra lingua. L’italiano è diventata una lingua franca per le persone di altri paesi che vivono in Italia. Lavoratori dei paesi dell’Africa comunicano con lavoratori dei paesi asiatici, o fra di loro, solo per fare un esempio, attraverso la nostra lingua. E’ un apporto di fondamentale importanza per un mondo culturale come il nostro che, sotto i tagli draconiani di governi incapaci di concepire altro che il profitto e il sostegno agli interessi forti del nostro paese, sta morendo lentamente. Allora ecco l’importanza di queste persone che scrivono e parlano, senza più l’intermediazione da altre lingue, direttamente in italiano le loro emozioni, i loro interessi, i loro costumi e ci comunicano il loro punto di vista sul nostro paese e su la loro idea di vita e di futuro. E’ una linfa vitale che dobbiamo saper valorizzare e usare. Non comprendere questa risorsa è un errore strategico che non potrà che portare a esiti nefasti per la nostra società.
http://www.delbucchia.it/libro.php?c=288
Ricominciamo da sei, potremmo dire parafrasando un film del compianto Massimo Troisi, per parlare di questa sesta edizione del nostro premio Marenostrum dedicato alla cultura migrante in Italia. Da questa edizione avremo la possibilità di pubblicare l’antologia del premio grazie alla squisita collaborazione con l’editore Marco Del Bucchia. E’ un passaggio importante per il nostro premio riuscire finalmente a pubblicare i lavori pervenutici. Ed è importante perché lo facciamo con un editore, di spessore e sensibilità, che è ben conosciuto e radicato nel territorio dove il nostro premio è nato. Per una manifestazione come la nostra, pubblicarne l’antologia dei testi, è la consacrazione definitiva della bontà dell’iniziativa che da sei edizioni portiamo avanti con un budget a disposizione irrisorio che per altri premi servirebbe solo forse per un pranzo o una cena di gala. Noi con poche migliaia di euro, dati dagli enti pubblici, e tutta militanza volontaria e gratuita, siamo riusciti a far venire in Italia personalità di fama mondiale del calibro di Eduardo Galeano, Uri Avnery, Malalay Joya, solo per citarne alcune e poi don Andrea Gallo, don Luigi Ciotti, Germano Nicolini (il famoso partigiano: comandante Diavolo), Laura Boldrini… e altri ancora coinvolgendo così la parte più avanzata e progressista del mondo cattolico e dell’impegno laico e civile nel nostro paese. Una grande soddisfazione che va a merito esclusivo dei compagni e delle compagne che nel corso dell’anno lavorano per dare vita e sostanza a questa nostra manifestazione di ottobre.
I migranti rappresentano una risorsa straordinaria per il nostro paese. Qui a Viareggio, voglio ricordarlo con commozione, anche alcuni di loro sono stati fra le vittime della strage del 29 giugno del 2009. Una strage frutto delle responsabilità di chi avrebbe dovuto controllare adeguatamente i vagoni del convoglio che trasportava gas e che esplose nella stazione di Viareggio. In quella strage persero la vita 32 persone e fra essi anche cittadini marocchini. A Viareggio i migranti hanno pagato insieme ai viareggini il loro tributo di sangue alla deregulation liberista nelle ferrovie italiane.
L’associazione Puntocritico con il premio Marenostrum ha voluto dare il proprio contributo alla costruzione di un paese in cui la solidarietà e la cultura siano fra i pilastri fondamentali di una società. Purtroppo, oggi assistiamo a istituzioni pubbliche, governo in primis, che non lavorano per questo grande obiettivo ma, al contrario, sostenute da forze razziste, fomentano l’esclusione e l’espulsione da un lato e lo sfruttamento rapace dall’altro di queste persone che sono in Italia alla ricerca di recuperare quello che nei loro paesi gli è stato sottratto da guerre, dittature e da un modello di sviluppo capitalistico incapace di dare risposte all’umanità. Queste persone sono qui con la speranza di una vita migliore, di un lavoro. E al contempo contribuiscono in modo sostanziale anche al benessere di noi italiani. La stragrande maggioranza di queste persone lavora, paga le tasse, rispetta le leggi anche se i media, spesso controllati dal governo e dal premier in modo diretto o indiretto, vogliono evidenziarne ben altri aspetti. Noi italiani siamo un popolo di migranti, anche se oggi tendiamo a dimenticarcelo. Sono stati milioni gli italiani che dalla seconda metà dell’Ottocento in poi sono emigrati in altri paesi europei e in altri continenti per cercare lavoro e un futuro degno per loro e i loro figli. L’egoismo, l’ignoranza, il razzismo istituzionalizzato e la xenofobia compiaciuta dilaganti nel nostro paese sono a testimonianza della perdita di memoria storica e dell’offuscamento degli ideali che fecero rinascere questo nostro paese dopo la brutale dittatura fascista.
Con il premio Marenostrum noi vogliamo evidenziare e sottolineare l’importanza della presenza di queste persone in Italia, non solo per i risvolti economici, ma soprattutto sotto il profilo culturale e per il contributo che forniscono al fine di rendere nuovamente vitale la nostra lingua,L’italiano altrimenti destinata ad un progressivo inaridimento. La eccezionale rivoluzione che queste persone stanno apportando alla nostra lingua e alla nostra cultura è di straordinaria importanza. Basterebbe pensare solo ai neologismi coniati da questi scrittori e scrittrici, giornalisti e lavoratori provenienti da altri paesi del mondo. Vorrei ricordare, a titolo esemplificativo, gli imbarazzismi, coniato dal membro della nostra giuria e vincitore della prima edizione del premio il dottore Kossi Komla-Ebrì, togolose, e scrittore di grande talento. Queste persone che sono scrittori, intellettuali, professionisti ma anche semplici lavoratori e cittadini stanno rivitalizzando e rendendo di nuovo viva la nostra lingua. L’italiano è diventata una lingua franca per le persone di altri paesi che vivono in Italia. Lavoratori dei paesi dell’Africa comunicano con lavoratori dei paesi asiatici, o fra di loro, solo per fare un esempio, attraverso la nostra lingua. E’ un apporto di fondamentale importanza per un mondo culturale come il nostro che, sotto i tagli draconiani di governi incapaci di concepire altro che il profitto e il sostegno agli interessi forti del nostro paese, sta morendo lentamente. Allora ecco l’importanza di queste persone che scrivono e parlano, senza più l’intermediazione da altre lingue, direttamente in italiano le loro emozioni, i loro interessi, i loro costumi e ci comunicano il loro punto di vista sul nostro paese e su la loro idea di vita e di futuro. E’ una linfa vitale che dobbiamo saper valorizzare e usare. Non comprendere questa risorsa è un errore strategico che non potrà che portare a esiti nefasti per la nostra società.